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giovedì 5 aprile 2012

I suoi primi due nomi

5 aprile 1992. Migliaia di persone manifestano lungo le strade di Sarajevo rivendicando il loro diritto alla pace. Nel febbraio di quello stesso anno, Radovan Karadžić (capo del Partito Democratico Serbo di Bosnia-Erzegovina, l'Sds) aveva minacciato l'intera popolazione bosniaca dichiarando che se la Bosnia Erzegovina avesse ottenuto l'indipendenza dalla Jugoslavia, sarebbe scomparsa.
Nei primi giorni di quell'aprile, i carri armati dell'armata popolare jugoslava si posizionavano sulle montagne sovrastanti Sarajevo.
Eppure, nonostante tutto questo, quel 5 aprile 1992, migliaia di uomini, donne, bambini e anziani hanno
camminato per strada manifestando il loro diritto alla libertà.
Ancora non potevano e non volevano credere che quei carri armati potessero fare fuoco su loro e sulla loro città. 
E invece proprio quel giorno la guerra fece i suoi primi due nomi lungo quelle strade: Suada Dilberović e Olga Sučić.
Iniziò così l'assedio più lungo nella storia bellica moderna.


A 20 anni di distanza, quello che penso è che la gente non abbia idea di cosa sia Sarajevo oggi e di chi siano i sarajevesi di oggi.
L'idea che ho è che 20 anni fa, il mondo avesse una vaga idea di dove fosse Sarajevo e di chi vi abitasse: era troppo vicino o troppo lontano, ma sicuramente reale e drammatico per pensare che fosse lì, in Europa, e che stesse succedendo veramente. 
Era impossibile accettare che noi permettessimo quei delitti. Meglio rimuovere. Meglio fare finta che di niente.
Nei primi anni dopo la fine del conflitto ha prevalso il silenzio. E negli ultimi 10 anni si è parlato soprattutto degli anni del conflitto.
Smettiamola di parlare e andiamo là: a vedere e a toccare. Una città e una terra incantevoli, con i loro difetti, i loro segreti, i loro angoli: da scoprire, assaggiare, provare, ascoltare, capire. Una città. E i suoi cittadini.

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